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Levotiroxina innalza il rischio di fratture nell'anziano

Nei soggetti di età superiore a settant'anni, l'uso corrente di levotiroxina si associa a un incremento significativo del rischio fratturativo, con una forte relazione dose-risposta.

È quindi necessario monitorare bene i dosaggi per evitare sovratrattamenti in questa categoria di pazienti.

Questo il risultato di uno studio caso-controllo condotto da un team di esperti canadesi, capeggiato da Marci R. Turner, del dipartimento di Medicina dell'università di Toronto.

La ricerca ha coinvolto 213.511 anziani che hanno assunto levotiroxina tra l'aprile 2002 e il marzo 2007, seguiti per un'eventuale frattura fino al marzo 2008.

Come casi si sono considerati i soggetti che si sono recati in ospedale per qualunque tipo di frattura, ognuno dei quali è stato affiancato anche da cinque controlli.

Obiettivo dello studio era valutare la comparsa di una frattura (polso o avambraccio, spalla o parte superiore del braccio, vertebre toraciche e lombari, bacino, anca o femore, parte inferiore della gamba o caviglia) in relazione all'assunzione, in passato o al momento dello studio, di levotiroxina.

Il rischio di frattura tra chi assumeva levotiroxina è stato confrontato con quello di chi prendeva il farmaco negli anni precedenti la frattura.

Tra i 213.511 soggetti che assumevano levotiroxina al momento della ricerca, si sono verificate 22.236 (10.4%) fratture durante un follow-up medio di 3,8 anni, di queste 18.108 (88%) hanno colpito donne.

Rispetto a chi aveva usato levotiroxina in passato, l'uso corrente si è associato in modo significativo a un rischio più alto di frattura (odds ratio aggiustato 1.88), nonostante l'aggiustamento per numerosi fattori di rischio.

Tra gli utilizzatori correnti, dosi cumulative alte e medie (>0,093 mg/die e 0,044-0,093 mg/die) sono risultate essere associate a un rischio significativamente maggiore di fratture rispetto a dosi cumulative basse (<0,044 mg/die), rispettivamente di 3,45 e 2,62.

da BMJ, 2011; 342:d2238

(n.d.r.by L.G.: Il rischio già lo si conosceva: i dati confermano la necessità del monitoraggio farmacologico nei  soggetti che eseguono la terapia ormonale tiroidea).



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